Ad aprile, il mercato del lavoro negli USA ha mostrato un’impennata superiore alle aspettative, con ben 210.000 nuove assunzioni. Più da vicino, si nota che la ripresa si è mostrata più significativa nel settore privato rispetto al pubblico.
Statistiche alla mano, questo vuol dire che il lavoro negli USA, finalmente, c’è per tutti o quasi. Gli aberranti livelli di disoccupazione della grave crisi economica che imperversa dal 2008, partita proprio dagli Stati Uniti, sono al momento soltanto un infelice ricordo. A rimanere senza un mestiere con il quale mantenersi risultano essere attualmente il 4,4% degli americani. Il dato risulta allineato con quello del maggio 2007, quando la crisi non aveva ancora messo in ginocchio l’economia mondiale.
La statistica ufficiale però non tiene conto del lavoro nero che anche negli Stati Uniti non è affatto una rarità. Chi sono i lavoratori occulti, senza iscrizione sui libri paga? Si tratta perlopiù dei clandestini. In modo analogo a quanto accade altrove, di solito recepiscono paghe ben più basse dei lavoratori in regola e fanno turni più lunghi. Con l’amministrazione Trump, i clandestini hanno vita molto più difficile, si sa. Questo influisce sullo scenario occupazionale? Provoca una diminuzione del lavoro sommerso e un recupero dei posti regolari? Agli economisti la risposta.
Per quanto riguarda rapporto fra il lavoro negli USA e il protezionismo dell’attuale amministrazione, quasi tutti gli economisti concordano che alla lunga potrà rivelarsi negativo. Trump si adopera per ridurre le importazioni per favorire la produzione americana, ma quanto tiene conto delle conseguenze? Perché limitare le importazioni (la cosa riguarda anche aziende italiane come la Piaggio) significa limitare le esportazioni, data la reazione dei paesi interessati negativamente dal suo protezionismo. Quale fattore inciderà di più sulla produzione e quindi sul mercato del lavoro?
E che legame esiste fra il recupero della produzione emigrata negli ultimi anni e la creazione di nuovi posti di lavoro negli USA? Anche in questo caso la risposta è complessa. Trump si sta adoperando per riportare in patria gli stabilimenti dei tanti marchi americani che, negli anni, hanno scelto di spostare la produzione in paesi dove il lavoro costa meno, come il Messico. Questo dovrebbe comportare sulla carta un aumento dell’occupazione, ma c’è un ma. I costi finali di produzione inevitabilmente più alti provocheranno una riduzione dei consumi? Questi ultimi incidono sul Pil statunitense per il 70%. Di nuovo, la risposta agli esperti.
Al momento, comunque, l’America non se la passa male. Difficile fare previsioni a lungo termine, ma allo stato attuale è così. La notizia è tanto più positiva se si pensa che il principale ammortizzatore sociale da quelle parti è, da sempre, la flessibilità del mercato del lavoro negli USA: vale a dire che chi si ritrova disoccupato, storicamente, riesce a sopravvivere grazie alla possibilità di trovare in tempi accettabili una nuova occupazione.