La malattia di Alzheimer è una patologia che colpisce per la maggior parte persone al di sopra dei 65 anni e contro la quale poco o nulla si può fare. Questa malattia, che oggi colpisce circa 15 milioni di persone, è in continua crescita soprattutto nei Paesi
occidentali. Essa è la quarta causa principale di morte tra gli adulti negli Stati Uniti: ne è affetta una persona su cinque nella fascia di età compresa tra i 75 e gli 84 anni. In Europa è stato stimato (2005) che l’Alzheimer rappresenti il 54% di tutte le demenze, con una prevalenza che aumenta nelle donne, che presentano valori che vanno dallo 0,7 % per la classe di età 65-69 anni al 3,6% per le ultranovantenni, rispetto agli uomini i cui valori variano rispettivamente dallo 0,6% al 17,6%.
Il morbo di Alzheimer è una patologia neurodegenerativa: particolari gruppi di cellule nervose muoiono prematuramente, provocando così l’insorgere di estese degenerazioni del tessuto corticale a livello macroscopico. A questo punto il tessuto nervoso si ritira gradualmente andando ad intaccare prima le regioni del lobo temporale – in particolare l’ippocampo – per poi colpire la regione della neocorteccia. Con il progredire della malattia vengono compromessi non solo i ricordi recenti e passati, ma anche altre funzioni cognitive.
Cause di sviluppo dell’Alzheimer
Le cause che portano allo sviluppo della demenza di Alzheimer non sono ancora completamente chiarite. I meccanismi coinvolti sono molteplici. Dal punto di vista biologico si osserva una progressiva morte (atrofia) delle cellule cerebrali, i neuroni. Questo processo avviene normalmente anche nell’anziano in buone condizioni. Nei malati di Alzheimer però l’atrofia è più marcata e si diffonde più rapidamente rispetto ai soggetti sani. Le cause di questo processo non sono ancora del tutto note, sebbene sia ormai certa la sua associazione con la presenza quantitativamente anomala nel cervello di depositi di sostanze quali la beta amiloide e la proteina Tau. Solo in rarissimi casi la demenza di Alzheimer è di tipo ereditario. Nel mondo si conoscono un centinaio di famiglie affette dalla malattia. Questa forma, che si sviluppa prevalentemente nella fase pre-senile (33-65 anni), si manifesta in tutte le generazioni della famiglia che ne è affetta. In questi casi lo sviluppo della patologia sembra sia legato alla mutazione di alcuni geni che provocano la produzione di alcune proteine patogene (Presenilina 1 e 2; APP: Proteina Precursore dell’Amiloide).
Il primo caso accertato di Alzheimer
Nel 1901, il dottor Alois Alzheimer, uno psichiatra tedesco, intervistò una sua paziente, la signora Auguste D., di 51 anni. Le mostrò parecchi oggetti e successivamente le chiese di ricordarli, senza successo. Auguste D. fu la prima paziente a cui venne diagnosticata la demenza di Alzheimer. Nei soggetti affetti da demenza di Alzheimer l’alterazione dell’attività fisiologica del sistema nervoso si manifesta con un progressivo deterioramento delle funzioni cognitive. Queste funzioni sono deputate alla comprensione e codifica degli stimoli ambientali e permettono all’individuo di elaborare, programmare e realizzare risposte adeguate. Il loro funzionamento è essenziale anche nella.
Le principali abilità coinvolte sono: memoria, attenzione, linguaggio, aprassie, agnosie, funzioni esecutive. Il decorso della malattia è di natura progressiva e il deterioramento procede in modo gerarchico dal complesso al semplice, dalle acquisizioni recenti a quelle più remote. Nella fase iniziale sono interessate le attività complesse di tipo esplicito e pianificato (gestire un’attività lavorativa, un conto in banca, organizzare la vita familiare, fare la spesa, cucinare, rassettare, ecc.) poi quelle semplici, a carattere implicito e procedurale (igiene personale, alimentazione, ecc.).
Nella fase iniziale la malattia si manifesta con un deterioramento della memoria e di almeno un’altra funzione cognitiva. Il deficit di memoria dunque rappresenta una condizione necessaria a porre la diagnosi di demenza. Il deterioramento delle altre funzioni cognitive avviene in tempi e modi diversi, secondo la localizzazione e il grado di atrofizzazione delle diverse zone del cervello. Inoltre, la manifestazione dei deficit e della malattia dipende da altre variabili fondamentali come la storia e la personalità del malato. Gli eventi di vita stressanti come i traumi, la capacità di gestirli, la capacità di gestire i rapporti personali e sociali e la loro qualità, sono tutti elementi centrali nello sviluppo della malattia. Essi interagiscono con l’entità e la qualità delle risorse della persona in un rapporto di retroazione reciproca. A ciò va ad aggiungersi l’evoluzione del processo di atrofizzazione delle cellule cerebrali durante la malattia. L’insieme di tutte queste variabili determina le azioni, i sentimenti e i comportamenti delle persone affette da demenza.
La progressiva disabilità causata dai deficit cognitivi può provocare errori di comprensione, comunicazione, controllo sull’ambiente e sugli stimoli esterni ed interni. Nelle fasi iniziali di malattia, infatti, si osserva la presenza di disturbi legati soprattutto a difficoltà di memoria e di attenzione. Il malato ad esempio può tendere a ridurre le proprie attività o a isolarsi per evitare le difficoltà legate ai deficit che lo affliggono.
Con il progredire della malattia e il deterioramento di funzioni cognitive elementari si manifestano più facilmente disturbi comportamentali. Il malato può manifestare deliri e/o misidentificazioni, legate a deficit di natura agnostica, che possono concretizzarsi con il mancato riconoscimento dei familiari. In questa malattia è molto frequente che accanto ai deficit cognitivi emergano disturbi psicologici e del comportamento.
Si stima che il 60-90% dei casi sviluppi almeno un disturbo psicologico o comportamentale. Questi disturbi provocano un disagio importante sia al paziente sia alla persona che ne ha cura e la loro insorgenza sembra essere la causa principale di istituzionalizzazione dei malati, con costi economici, affettivi e sociali molto importanti.
I sintomi comuni nella progressione della malattia
I sintomi che contraddistinguono i disturbi psicologici e comportamentali sono: deliri, allucinazioni, disturbi dell’attività, aggressività, disturbi del ritmo diurno, dell’affettività (ansie, fobie e depressione), agitazione, disinibizione, apatia, euforia/esaltazione, irritabilità, irrequietezza motoria (vagabondaggio), alterazioni/disturbi del comportamento alimentare e notturno.
L’insorgenza dei sintomi è graduale e il declino delle facoltà cognitive è di tipo progressivo. I deficit non sono ascrivibili ad altre condizioni neurologiche, sistemiche o indotte da sostanze, e non si manifestano nel corso di un delirium. I deficit cognitivi devono essere confermati dai risultati di alcuni test neuropsicologici. La diagnosi è posta “per esclusione”, in assenza di altre cause che possano spiegare l’insorgenza della malattia. È effettuata soprattutto con informazioni clinico-strumentali e il suo grado di attendibilità è molto elevato (85-90%). Tuttavia, si parla sempre di diagnosi di demenza di Alzheimer “probabile”. La diagnosi certa, infatti, è effettuabile solo attraverso una biopsia cerebrale in vivo o post-mortem. La valutazione dei tessuti cerebrali dei malati permette di evidenziare la presenza di alcune proteine, o corpuscoli, che rappresentano l’unica prova certa della malattia.
Oggi gli interventi disponibili contro questa patologia non sono ancora risolutivi. Le strategie terapeutiche a disposizione sono di tipo farmacologico, psicosociale e di continuità assistenziale.
Il trattamento farmacologico nell’Alzheimer
Sono disponibili farmaci che rallentano l’evoluzione dei sintomi della malattia: gli inibitori della colinesterasi. La loro efficacia è però limitata ad una parte delle persone coinvolte e in genere i risultati migliori si ottengono quando la terapia è somministrata nelle fasi iniziale e moderata della malattia. La loro azione si esplica attraverso l’inibizione dell’attività dell’aceticolinesterasi, un enzima presente nel cervello. Questo effetto permette alle cellule cerebrali di avere una disponibilità maggiore di acetilcolina, uno dei più importanti neurotrasmettitori del nostro sistema nervoso. Nell’encefalo dei malati di Alzheimer infatti vi è una riduzione significativa di acetilcolina e ciò sembra rappresentare una delle principali cause dei loro sintomi. Da qualche anno è disponibile un’altra molecola, la memantina (antagonista del recettore NMDA del glutammato) che sembra essere leggermente efficace nel rallentare l’evoluzione della malattia. Tuttavia, a differenza degli inibitori della colinesterasi, la memantina è indicata nelle fasi moderata e severa della malattia.
Nei soggetti affetti da demenza, la perdita di neuroni corticali sembra essere correlata ad una aumentata sensibilità o ad aumentati livelli di glutammato. Questo determina un flusso continuo di calcio all’interno dei neuroni, responsabile alla fine della morte delle cellule . In questi pazienti, la memantina eserciterebbe la sua azione bloccando gli effetti di livelli patologicamente elevati di glutammato, comprese le alterazioni della funzionalità neuronale.
Allo stato attuale la demenza da Alzheimer non è guaribile e deve quindi essere affrontata con un approccio globale, che comprenda il paziente e il suo sussidio familiare. Progettare ed approntare servizi di assistenza per il malato e la famiglia, ed intervenire con approcci terapeutici non solo farmacologici, rappresentano attualmente le uniche possibilità per assicurare al paziente una qualità di vita accettabile e dignitosa, nella funzione di accompagnamento della persona alla sua graduale perdita di identità.
L’ Alzheimer cancella i ricordi e la memoria delle persone che ne sono affette. Togliendo la propria storia a questi soggetti, tende a renderli privi di un proprio “sé” personale.
Fonti:
-N.Sparks, Le pagine della nostra vita. Milano: Sperling & Kupfer, 1996.
-American Psychiatric Association, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-IV), edition 4. Washington: American Psychiatric Association, 1994.
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-N.L Mace, P.V. Rabins, Demenza e malattia di Alzheimer, Erickson, Trento 1995.
-D. Passafiume, D. Di Giacomo (a cura di), La Demenza di Alzheimer, guida all’intervento di stimolazione cognitiva e comportamentale, Franco Angeli, Milano 2011.