Il nome segreto del villaggio Appiu: viaggio nella storia della misteriosa terra di Sardegna
A pochi km da Alghero, in direzione Villanova Monteleone, si trova una location archeologica estremamente interessante, considerata forse la più importante sede nuragica di tutta la Sardegna antica. Oltre duecento abitazioni sono state scoperte attorno ad un grande nuraghe di cui due torri laterali fanno ancora bella mostra di sè.
Un complesso funerario, all’interno di un boschetto di secolari e curiose querce da sughero, fa da completamento all’opera umana realizzata in un tempo lontano e, a mio avviso, ancora non ben precisato. Quello che ha suscitato la mia innata curiosità felina, prima di tutto il resto, è stato il nome. Perchè Appiu? Cosa significa in sardo, o meglio, in algherese dato che ci troviamo nella zona in cui la lingua parlata è catalana?
Ho trovato innanzitutto che il termine, assimilabile allo spagnolo Apio, significa “sedano” ma non quello che comunemente acquistiamo dal fruttivendolo, bensì una sorta di ombrellifera somigliante al finocchio selvatico, che cresce prevalentemente negli acquitrini. In realtà avrebbe potuto bastarmi questa spiegazione ma c’era ancora qualcosa che non mi soddisfaceva… Una similitudine fin troppo evidente con un altro termine mi costringeva a continuare la mia indagine linguistica.
Conscia che l’etimo va sviscerato fino alle origini possibili, ho utilizzato il dizionario etimologico delle radici indoeuropee e in primis ho ricevuto la conferma che il sedano “appiu” cresce nell’acqua. “Ap” è proprio l’antico termine che indica tale elemento e “pu” ha valenza di “purificare”, dunque lavare, pulire… tutte funzioni comunque associate all’acqua. Ma, come dicevo poc’anzi, c’è anche un altro termine antico di assonanza considerevole: Api o Apis, il famoso Toro Sacro di egizia derivazione. Poteva avere qualche attinenza questa sospetta similitudine o era soltanto un caso linguistico?
La Terra Sarda, allo stesso modo di altre terre affacciate sul Mediterraneo (dalla Libia alla Tunisia, all’isola di Pantelleria, alle isole Baleari fino ad arrivare alla Cornovaglia) possiede un simbolo di riferimento, che si ritrova pressochè ovunque nei ritrovamenti archeologici e che risponde al nome di Tanit. Non è mia intenzione, ora, soffermarmi sull’identità o le origini o le funzioni del simbolo dunque mi soffermerò soltanto su una breve descrizione dello stesso: un triangolo che da l’idea di una figura femminile con la gonna, con due braccia tese lateralmente e un cerchio, o rombo, o triangolo più piccolo a formare una testa fornita di corna taurine. Solitamente in ogni antico villaggio realizzato, o attraversato, dalla civiltà che portava quel simbolo, la Tanit veniva rappresentata sulle porte quale portatrice di fertilità e protezione e, cosa da non sottovalutare, era associata all’acqua. Spesso la stessa porta era costruita in modo da richiamare il simbolo.
Il nuraghe del villaggio Appiu non fa eccezione e infatti, la porta dello stesso, fortunatamente ancora in piedi, ha una forma che richiama immediatamente il simbolo di Tanit con la parte che va a costituire l’architrave somigliante ad una testa taurina. L’associazione Tanit- Toro Apis non è una stranezza. Il Toro infatti, in quanto costellazione, è rappresentato da un triangolo di stelle ed era associato alla divina Tanit, nella sua identificazione con la Iside egizia, nella Dea Hator, che pare una rappresentazione umanizzata della geometrica Tanit.
A conferma di ciò ho trovato un articolo molto interessante dal quale ho potuto evincere quanto forte era il legame tra le civiltà egizia, sumero-accadica e sarda: “Il Bue Api, come tutti sanno, è quel bue che i sacerdoti scribi, per testimonianza delle fonti storiche classiche (9), andavano a cercare per le sue singolarità segniche. Nella, spesso lunga, ricerca risultava straordinariamente divino quell’animale che aveva delle corna asimmetriche (10) e/o mostrava sulla fronte (o in altra parte del corpo), come il famoso Toro di Menfi del Museo del Cairo, il triangolo, la ‘macchia’ triangolare, ovvero il segno del tre o della ‘perfezione’ divina. Insomma, il toro divino celeste una volta individuato era il ‘triangolo’ stesso , la parte per il tutto e la parte più importante di quel tutto.” E ancora: “L’animale sacro porta quel particolare segno geometrico perché esso con il suo numero e la sua perfezione geometrica è il simbolo del Dio taurino luminoso (Sole – Luna); il dio che da tempo immemorabile, ormai da mille e cinquecento anni e più, protegge, fa prosperare e guida i popoli della Sardegna. In quella guerra suprema per la libertà è assolutamente necessaria la presenza simbolica del dio con tutta la sua potenza.” (http://monteprama.blogspot.it/2012/11/tanit-il-toro-eterno-celeste-e-i.html)
La prossima estate, se decidete di visitare la terra sarda non dimenticate di fare una passeggiata nella storia antica, a respirare il sapere dei nostri avi più remoti, poichè la Sardegna non è solo mare cristallino ma anche e, forse, soprattutto, ancestrale segreto ancora ben conservato nella memoria delle sue pietre.
Monica Benedetti
Foto: Monica Benedetti