Se dovessimo stipulare una statistica tra le donne che sono ritornate nel mondo del lavoro dopo aver avuto un figlio, ci accorgeremmo che la percentuale non si avvicinerebbe nemmeno al limite minimo richiesto: il 30%. Ed una percentuale così bassa è inaccettabile nel 2017.
L’Istat ha dichiarato che le donne sono parte collaborativa integrante per la ripresa economica e il rialzo dell’occupazione. Ma è davvero così? Purtroppo no ed ecco perché: una donna su dieci riesce a trovare lavoro nel settore da lei scelto due anni dopo aver conseguito la laurea, a differenza dell’uomo che entra nel mondo del lavoro subito dopo il diploma di maturità. Solo il 10% delle donne riesce a tornare a lavorare dopo la nascita di un figlio, grazie a contratti favorevoli, datori di lavoro coscienziosi e una buona dose di fortuna. Per ultimo, ma non meno importante, una donna su mille riesce veramente a fare carriera e far conciliare vita personale con quella lavorativa, facendo non pochi sacrifici. Se questi numeri sono la giusta ripresa economica che vanno tanto urlando, allora non vorrei mai chiedermi come fanno in Svezia o Germania o Inghilterra dove le donne sono la vera parte attiva dell’economia.
In Italia, invece, i datori di lavoro esprimono domande ben precise alle donne durante i colloqui conoscitivi, le quali sono molto diverse da quelle fatte agli uomini. “Lei ha intenzione di fare figli in un futuro prossimo?”, “Si vede sposata e con figli tra cinque anni?” oppure, “Lei ha figli?” sono le domande più gettonate per conoscere il costo che potrà influire quella data persona che si presenta per un posto di lavoro e che un giorno potrebbe decidere di mettere su famiglia e stare a casa per la maternità mettendo in pericolo l’andamento dell’azienda. E’ successo in molte situazioni, invece, che i datori di lavoro, qualora decidessero di investire su una donna, di farle firmare un contratto speciale ove nel quale viene esplicitamente richiesto di non rimanere incinta durante il rapporto lavorativo, pena il licenziamento immediato. Quindi mi chiedo, come mai lo Stato, o l’Istat o chi ne fa le veci non indaga su queste “situazioni” o le nasconde agli occhi delle persone sfortunate e disoccupate?
Le donne hanno, da sempre, combattuto per la parità dei sessi e dei diritti, ma se da una parte si è fatto passi da gigante includendo anche la paternità per l’uomo, perché allora non si è migliorato il reinserimento lavorativo delle donne dopo la maternità? O ancora, perché non vengono aiutate le donne a trovare lavoro dopo la nascita di un figlio senza che esse rinuncino ad ogni libertà e senza che vengano umiliate solo perché sono diventate mamme?
Però una testimonianza positiva c’è, una sola su un numero enorme. Un anno fa, una donna al nono mese di gravidanza è stata assunta con contratto a tempo indeterminato nell’azienda in cui lavorava. Ne è stata fatta una grande pubblicità, tutti hanno lodato l’azienda ed i proprietari, e le donne hanno invidiato quella mamma che non solo ha avuto il suo bambino senza essere licenziata ma che come regalo ha ricevuto un contratto niente male dopo anni di sacrifici. Una testimonia, una sola su milioni. Chissà perché ci tenevano a farci vedere questo bellissimo gesto che non dovrebbe essere bellissimo ma una cosa naturale nel nostro mondo.
E’ un controverso, quasi irrazionale. Si chiede come mai la ricrescita demografica sia così lenta da parte degli italiani, ma allo stesso tempo vengono penalizzate quelle stesse italiane che hanno deciso di “contribuire” alla crescita demografica. Non vengono aiutate economicamente, vengono minimizzate delle loro doti ad un semplice colloquio e vengono allontanate dal mondo del lavoro senza un briciolo di pietà. Alla fine si ritroveranno a fare le casalinghe, a fare lunghe file alle Agenzie per il Lavoro o ai Centri per L’impiego, ad accontentarsi di mezzo pane quando invece ne potrebbe avere tranquillamente uno intero se solo ai colloqui , la persona che hanno di fronte capirebbe quanto valgono.