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Cos’è il tritest e perché è importante

Eseguire test clinici in gravidanza è molto importante, un test imprescindibile a cui sottoporsi è il cosiddetto ‘tritest’ o triplo test, utile per riscontrare eventuali rischi di anomalie cromosomiche nel feto, cerchiamo di capirne qualcosa in più.

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Test in gravidanza: il tritest

 Il ‘test di gravidanza’ dà solo l’avvio al periodo di gestazione di una donna, ma lungo i nove mesi saranno diversi i test a cui la gestante dovrà sottoporsi per scongiurare problemi e incidenti.

Uno tra questi esami è il cosiddetto ‘triplo test’, meglio noto come tritest, la cui importanza sta nella possibilità di calcolare e quantificare i rischi di eventuali anomalie cromosomiche nel bambino, soprattutto della cosiddetta ‘Sindrome di Down’.

In cosa consiste il tritest?

Questo test racchiude una serie di esami biochimici utili per tracciare uno screening prenatale in grado di fornire una stima delle probabilità che il feto possa risultare affetto da anomalie cromosomiche, in particolar modo dalla trisomia 21, meglio nota come Sindrome di Down, oppure da eventuali difetti del tubo neurale.

Come avviene il tritest?

È necessario sottoporsi a un normale prelievo del sangue, senza per questo essere a digiuno, oltre al prelievo sanguigno, spesso è utile anche supportare il test con una ecografia, in modo da stabilire con la massima precisione l’età gestionale e il periodo di gravidanza in cui ci si trova.

Come consiglio generale, è bene sottoporsi al tritest tra la quindicesima e la diciottesima settimana di gravidanza.

Quali valori analizza il tritest?

Come suggerisce il nome stesso dell’esame, sono proprio tre le sostanze ricercate e analizzate nel sangue della mamma, una è l’alfafetoproteina (detta anche AFP), l’altra è costituita dall‘estriolo non coniugato e infine c’è la gonadotropina corionica.

Il tritest non dà una vera e propria diagnosi, in quanto dal tritest emerge solo la possibilità che il bambino, una volta nato, possa manifestare determinati disturbi.

Cioè? Se, ad esempio, l’alfafetoproteina presenta un valore tra il 25 e il 30%, si può ipotizzare la Sindrome di Down, se al contrario questi valori aumentano si può pensare a difetti del tubo neurale o della parete addominale.

Anche l’estriolo non coniugato, se diminuisce, può far pensare a un caso di trisomia 21 e lo stesso quando la gonadotropina corionica ha invece dei valori di circa due volte superiori alla norma. Dunque il tritest dà dei valori che vengono confrontati con quelli normali.

Se eventualmente tutti i valori dovessero lasciar ipotizzare e intuire un rischio alto di Sindrome di Down, alla donna viene suggerita una amniocentesi, un esame cioè che permette di escludere o confermare il risultato fornito del tritest. Anche l’amniocentesi, dalla sua, presenta una piccola percentuale di rischio abortivo (si parla del 0,5%), ma consente di analizzare direttamente l’assetto cromosomico del feto. Dunque, nessuna garanzia al 100%, ma il tritest nel complesso è capace di indirizzare il medico a una scelta consapevole.

La capacità del tritest di individuare feti colpiti da difetti del tubo neurale è del 90%, mentre la valutazione complessiva dei tre indicatori nel sangue materno prelevato fa sì che l’attendibilità del tritest raggiunga valori abbastanza soddisfacenti.

Stime ritengono che il tritest sia in grado di riconoscere subito circa sette casi di sindrome di Down su dieci. Ecco dunque la sua importanza. Ma non basta, se al tritest viene accoppiato il dosaggio di un altro indicatore, l’inibina A (si dovrebbe qui parlare di quadritest o quadtest), si hanno percentuali maggiori di affidabilità nei risultati.