Ormai da qualche tempo a questa parte troviamo spesso sulle prime pagine di tutti i giornali tristi vicende catalogate con il nome di “Bullismo”.
E’ il caso del ragazzo diciannovenne morto a Milano durante una gita, con i compagni del liceo, per visitare l’Expo. E’ il caso del padre che aggredisce due ragazzi perché considerati bulli che infastidivano il figlio straniero. E’ il caso del bambino della scuola dell’infanzia, quindi di soli 5 anni, che veniva mandato dalla madre (a detta degli altri genitori della scuola) a picchiare determinati bambini. E’ il caso di quell’uomo che per una lite durante un parcheggio ne manda all’ospedale un altro.
Notiamo come non ci siano fasce d’età più colpite di altre, partiamo dalla scuola dell’infanzia fino ad arrivare alle scuole superiori e oltre. La realtà dei fatti e’ che viviamo in un’epoca di “pensiero-azione”.
Non esiste più, ne per gli adulti ne per i giovani adulti, uno spazio intermedio di riflessione. Quella giusta distanza tra l’essere soggetti agenti e l’essere soggetti pensanti e’ sparita, demodè, vintage. Rendendoci quello che noi, e la società di oggi, stiamo diventando: vittime dell’attimo.
Nel momento in cui mettiamo in atto un’azione ci soffermiamo a pensare alle conseguenze? Oppure stiamo diventando dei meri automi, in cui l’istinto animalesco di sopravvivenza prevale sul raziocinio?
La mia riflessione sul Bullismo, o qualunque sia il modo in cui vogliamo chiamarlo, non presuppone una soluzione, presuppone solo di fermarsi un attimo a pensare.
Dove porterà la mia azione?
Può, questo mio comportamento, essere preso ad esempio dai miei figli e dalla mia comunità?
Ci tengo a specificare “dalla mia comunità” perché non solo chi ha figli ha il compito di essere un esempio per i bambini di oggi, anche insegnanti, educatori e allenatori ce l’hanno. Suddividiamoci tutti un po’ di responsabilità, rimbocchiamoci le maniche e cominciamo a ridare il buon esempio agli adulti di domani.