Quando ci troviamo in mezzo a numerose persone che chiacchierano tra loro e siamo noi stessi impegnati in una conversazione con un amico, comprendiamo solo la voce di chi ci sta di fronte; le molte altre voci rimangono un brusìo di fondo. Eppure, se qualcuno attorno a noi pronuncia per caso il nostro nome, lo cogliamo subito e il nostro orecchio si orienta immediatamente verso quell’altra persona, tanto da non sentire quasi più quanto ci sta raccontando l’amico.
Questo fenomeno è stato studiato sperimentalmente da Colin E. Cherry, che lo ha definito fenomeno del cocktail party.
Egli consegnava a una persona una cuffia che trasmetteva un messaggio a un orecchio e un messaggio completamente diverso all’altro e il soggetto aveva il compito di fare attenzione a un solo messaggio.
Per garantire un’attenzione selettiva, il soggetto doveva anche ripetere ad alta voce, parola per parola, quanto veniva detto nell’orecchio scelto come fonte di informazione.
In una condizione del genere, il messaggio da ignorare tende ad essere escluso quasi del tutto. Il soggetto sente che qualcuno parla, ma niente di più. Non ricorda nulla di quanto viene detto, non si accorge se la lingua in cui viene trasmesso il messaggio cambia all’improvviso, non si accorge neppure se la voce da maschile diventa femminile o se il nastro del registratore è fatto andare all’indietro.
Ciò rappresenta un classico esempio di ascolto selettivo e di riempimento dei vuoti provocati da rumore di fondo.
Si hanno però delle interessanti eccezioni: per esempio, è stato dimostrato che il soggetto ricorda bene se nel contesto del messaggio da ignorare viene pronunciato il suo nome.
In conclusione, questi studi sperimentali confermano il comune fenomeno del cocktail party: entrambi indicano che noi facciamo attenzione solo a quanto ci interessa. Come dice il vecchio detto: “Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”.