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Interruzione volontaria di gravidanza

Dal 1978 la legge 194 consente a qualsiasi donna di richiedere l’interruzione volontaria di gravidanza entro i primi novanta giorni di gestazione per motivi famigliari, di salute, economici o sociali, in teoria l’intervento a oggi quasi del tutto sicuro dovrebbe essere effettuato una settimana dopo la richiesta della donna (denominata settimana di riflessione) ma la pratica purtroppo si scontra con le problematiche del territorio e la donna che ha intrapreso già una decisione sofferta si ritrova a dover attendere settimane per l’intervento e nel caso di una diagnosi tardiva di gravidanza si rischia di andare oltre il termine previsto dalla legge. La causa più accreditata di queste problematiche è la mancanza di personale sanitario destinato all’interruzione volontaria di gravidanza. La legge vigente consente al personale l’obiezione di coscienza ovvero il rifiuto di praticare l’aborto. In Italia si stima che sette ginecologi su dieci si avvalgono di questo diritto e nonostante sia una scelta legittima dobbiamo renderci conto che la mancanza di medici sta diventando un problema serio che mina un diritto della donna.legge

Nonostante la legge 194 la società di oggi si mostra ancora molto restia al diritto della donna di poter scegliere se dare la vita o negarla. Parto dal presupposto che qualunque donna di ogni età, religione o etnia non scelga con superficialità di non proseguire una gravidanza ma sia spinta da motivazioni serie e personali per le quali si ritrova già a vivere un forte disagio che non necessita di essere accentuato dai giudizi della comunità.

Si dice che l’aborto non solo privi un bambino della propria vita ma anche una madre di suo figlio e finché si continuerà a negare l’esistenza della sindrome post abortiva si continuerà a privare anche la donna del suo lutto, impedendole di  elaborarlo. Quando si parla di interruzione volontaria di gravidanza l’aborto viene privato del suo significato di morte (del bambino) e di perdita (per la madre) in questo modo ci si dimentica che ogni perdita prevede un lutto e non si immagina cosa può accadere quando la responsabilità di questa perdita e morte è della madre stessa. La donna arriva a sentirsi un mostro, un assassina, vorrebbe piangere il suo bambino mai nato ma si sente indegna anche di fare questo come se qualcuno avesse stabilito che non si possa piangere e soffrire su ciò che si è scelto volontariamente, così questa viene travisata come una morte senza dolore mentre la donna proverà a convincersi che non sia successo niente ma la sua coscienza continuerà a punirla. La donna dovrà riuscire a riconoscere con onestà il fatto come accaduto, a soffrire per l’evento e poi a perdonarsi davvero, processo che richiede spesso moltissimo tempo anche anni. Si tende spesso a rifiutare il concetto di sofferenza associato a una interruzione volontaria di gravidanza, pensando che chi decide di abortire abbia una consapevolezza tale da non provare sentimenti non si considera che questa scelta pur essendo razionale e volontaria è comunque sofferta emotivamente.donna triste

E stato dimostrato che nel periodo post aborto la donna può cadere in una sintomatologia da lutto complicato, tre sono i quadri nosologi riconosciuti a livello internazionale: psicosi post aborto con forme depressive di varie entità, stress post aborto e sindrome da trauma conseguente ad aborto. Trattandosi di un evento anche difficile da condividere la donna si ritrova ad affrontare da sola una situazione che ha ripercussioni sul proprio stato fisico e psichico, può così manifestare sintomi come disturbi del sonno, disturbi della sfera sessuale, disturbi della comunicazione, isolamento e pensieri ossessivi. Oltre il proprio pensiero personale dobbiamo ricordarci che l’interruzione di gravidanza volontaria è stato dichiarato un diritto della donna e pertanto la stessa non va lasciata sola nel suo dolore.