La scuola italiana del primo ciclo nel corso degli anni ha visto un vivace alternarsi tra voti espressi sotto forma di giudizi (insufficiente, sufficiente ecc…) e voti numerici (5, 6, 7 ecc…). Recentissima poi la possibilità che facessero la loro prima comparsa nel sistema valutativo italiano i voti alfabetici grazie alle deleghe sulla “Buona scuola”. Ma nello “Schema di decreto legislativo recante norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed Esami di Stato (384)” si ribadisce l’uso della votazione in decimi. Però, prima ancora di ragionare sulla modalità migliore di esprimere i voti (parola, numero o lettera) viene da chiedersi se, in fondo, questi voti siano poi così necessari.
A cosa servono i voti?
Semplificando si può dire che comunemente servono per esprimere quanto lo studente abbia possesso di determinati contenuti o abilità. A scuola, spesso, si parla di profitto di uno studente.
Quali effetti possono avere i voti su uno studente?
Qui sarebbe necessario scrivere molto, mi limiterò a qualche incompleto cenno. Innanzitutto il termine profitto indica, attraverso un numero, a quanto ammonta l’utile, ciò che lo studente “guadagna” (conoscenze e abilità) nello stare a scuola. Questo numero, che nei documenti di valutazione diventa nero su bianco, può creare competizione, può contribuire a provare emozioni di gioia, esaltazione, delusione, abbattimento… . Inoltre può capitare che lo studente si identifichi in quel voto, nel bene e nel male. Nulla di più sbagliato, perché i voti non valutano le persone e nemmeno l’intelligenza (ammesso che questo complesso sistema che definiamo intelligenza si oggettivamente valutabile), ma valutano una performance.
Quale scopo ha la scuola?
“Alla scuola spetta il compito di fornire supporti adeguati affinché ogni persona sviluppi un’identità consapevole e aperta. […] la scuola è chiamata a realizzare percorsi formativi sempre più rispondenti alle inclinazioni personali degli studenti, nella prospettiva di valorizzare gli aspetti peculiari della personalità di ognuno.” (“Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione”, p.7-8). Una scuola così può limitarsi a valutare il profitto? No, infatti la scuola italiana sta andando verso il concetto di competenza e di valutazione delle competenze che però richiede certamente un sistema di valutazione più complesso del semplice voto numerico.
Può esistere una scuola senza voti?
Certo, esiste già, anzi esistono già. Ci sono diverse esperienze (sicuramente queste sono alcune tra le tante), sia europee che italiane. Ad esempio la “scuola del gratuito” che si basa sulla motivazione gratuita degli studenti, sull’acquisizione di un sapere critico e sulla cooperazione. Oppure l’esperienza delle “scuole senza zaino” fondate sui valori della responsabilità, della comunità e dell’ospitalità. Non ci sono i voti, ma le valutazioni sì e sono più complesse e articolate rispetto ad un voto numerico. Queste esperienze sono realizzabili in qualsiasi scuola, sia essa privata o statale e forse stanno proprio andando nella direzione in cui la scuola tutta dovrebbe andare: responsabilità, co-costruzione dei saperi, cooperazione, valorizzazione delle soggettività per la formazione di persone libere. Insomma una scuola di studenti con una “testa ben fatta” (E. Morin) piuttosto che con una testa piena.